April 28, 2008

Visionary Marketing

Il visionary marketing è sperimentazione pura. Viaggiamo nell’etereo universo della creatività senza freni.
Il visionary marketing si può definire come “l’uso di strategie e tecniche marketing innovative finalizzate a studiare la risposta del mercato indipendentemente dalla promozione di una merce o di un servizio, attraverso l’uso di prodotti chimerici o di campagne posticce
A differenza dalle ben conoscuite tecniche di analisi del mercato che possono essere utilizzate per prevedere il gradimento di un prodotto in sviluppo o per testare l’efficacia di una strategia di posizionamento, il visionary marketing non si prefigge il raggiungimentto di risultati concreti ma è puro stimolo ed osservazione scientifica delle risposte.
Il visionary marketing può utilizare per i suoi fini prodotti o brand esistenti e fare riferimento a caratteristiche reali di questi prodotti.
Può simulare una campagna promozionale o pubblicitària o avvalersi delle tecniche viral o di guerrilla.
Ma più spesso verranno esplorate possibilità inedite attraverso la creazione di quello che prende il nome di “prodotto chimerico”.
Il prodotto chimerico, pura invenzione o realtà futuribile, viene lanciato come un sasso in uno stagno su bersagli prestabiliti, come forum dedicati o blog tematici.
La risposta viene attentamente studiata e misurata attraverso le comuni tecniche di trackback.
Come è facilmente prevedibile si formeranno necessariamente due gruppi che denominiamo “gli scettici” e “gli inguaribili ottimisti”.
La progettazione dell’intervento chimerico si riterrà riuscita quando i due gruppi saranno equivalenti in numero.La durata dell’esperimento deve essere limitata al fine di riportare alla “normalita” il campo di intervento nel più breve tempo possibile.
Il progettista di un intervento di Visionary Marketing avrà cura di non diffondere notizie che possono danneggiare persone o società e che possono in alcuni casi assumere rilevanza penale.
Leggi un articolo con esempio concreto sull'uso di questa tecnica

April 17, 2008

Enterprise 2.0 - Azienda e web 2.0

Il web 2.0 dilaga e, come un enorme marea, sommerge le aziende che avevano tentato rigidamente e inutilmente di tenerlo fuori dai loro sistemi informativi. Le preoccupazioni principali dei CEO e CIO a riguardo sono:
· La sicurezza del sistema informativo;
· la tutela delle informazioni aziendali riservate;
· il rendimento operativo dei dipendenti.
Ma il web 2.0 con i suoi social e business networks, i suoi blog, i suoi wikis è comunque riuscito a conquistare i cuori e le menti dei dipendenti delle aziende grandi e piccole che ne hanno intuito le potenzialità spesso prima dei loro dirigenti e hanno cominciato a far breccia nei rigidi confini delle intranet aziendali. E’ in molti casi impossibile stabilire una netta demarcazione tra attività funzionali o meno al core business dell’azienda, specialmente nel caso di quadri e dirigenti che hanno obbiettivi strettamente correlati alla loro capacità di stabilire relazioni professionali, comunicare efficacemente, sviluppare ed esercitare la propria leadership.
Ma chi dell’informazione e della tecnologia ha fatto il suo mestiere non poteva restare completamente passivo davanti a questo scenario, e gradualmente si sono osservati i primi timidi tentativi di incorporare strumenti web 2.0 all’interno dei sistemi informativi aziendali.
Secondo la mia personale definizione :
L’enterprise 2.0 è un sistema informativo aziendale evoluto che integra i principi del web 2.0, attraverso la ristrutturazione e la riprogettazione delle architetture hardware e software che implementino strumenti di condivisione e comunicazione evoluti con un’ottica orientata al progetto e una virtualizzazione dei terminali utenti , integrando armoniosamente contenuti generati da utenti interni ed esterni alle procedure e politiche aziendali. (Maurizio Salamone)

Per fortuna di enterprise 2.0 si parla anche in Italia. Si è recentemente conclusa a Milano il meeting dell’
Osservatorio Enterprise 2.0 del MIP Politecnico di Milano. I numeri fanno capire che l’enterprise 2.0 è gia una realtà e non soltanto la fantasia di alcuni informatici visionari.Esiste una community online denominata Enterprise20.it animata da 176 partecipanti e capace di superare in pochissimi mesi i 160 contributi ed i 1100 visitatori unici su un target fortemente aziendale (principalmente IT Managers e CIO). fonte The Social Enterprise

Tra il 2007 e i primi di quest’anno è stata condotta una ricerca che ha coinvolto 70 aziende private e pubbliche amministrazioni tra le più significative nel nostro paese.
Ma partiamo dalla definizione di Enterprise 2.0 che dà Macfee fonte The Social Enterprise nel suo articolo pubblicato sul MIT Sloan Management Review intitolato “Enterprise 2.0 The Dawn of Emergent Collaboration”e nel post “The Trends Underlying Enterprise 2.0 “,

"Enterprise 2.0 è l’uso in modalità emergente di piattaforme di social software all’interno delle aziende o tra le aziende ed i propri partner e clienti".

Andando ancora più in dettaglio, McAfee passa ad analizzare le singole componenti di questa definizione:
Con social software indichiamo un insieme di tecnologie che mettono in condizione le persone di incontrarsi, scambiare informazioni e collaborare tramite l’ausilio del computer.
Una piattaforma è un ambiente digitale in cui contributi ed interazioni sono resi disponibili in modo persistente nel tempo.
L’aggettivo emergente significa che flussi e struttura non vengono imposti a priori (freeform), ma che al contrario il software include meccanismi capaci di far emergere i pattern di utilizzo nel tempo come frutto delle interazioni tra persone.
Infine freeform implica che il software:
· può essere utilizzato in modo opzionale;
· non è dotato di workflow in fase progettuale;
· prescinde dalle gerarchie aziendali;
· è capace ospitare molteplici tipologie di dati;

Concretamente, una piattaforma Enterprise 2.0 è il risultato di sei macrocomponenti, i cosiddetti slates :
Meccanismi di ricerca (Search);
Presenza di link (Link);
Possibilità di contribuire alla creazione/editing dei contenuti (Authoring);
Tag (Tagging associato a documenti, utenti, attività);
Meccanismi automatici di suggerimento (Extensions);
Notifiche sugli aggiornamenti (Signals, in particolare e-mail e feed RSS );

Cosa mostrano i dati relativamente alla realtà nazionale?
Il 34% delle imprese (piccole e grandi) mostra un forte interesse verso l’applicazione dell’Enterprise 2.0 ed il 14% sta già lavorando ad implementazioni e progetti pilota.
Il 58% dei CIO intervistati reputa l’Enterprise 2.0 un trend capace di far evolvere il modello organizzativo, mentre l’11% parla di una rivoluzione nel modo di fare azienda. Un 18% rimane in attesa, mentre il restante 11% vede il web 2.0 ancora completamente lontano dall’azienda
Il dato riferito al vertice aziendale (CEO) è certamente meno incoraggiante, ma il 14% spinge in prima persona l’introduzione di iniziative Enterprise 2.0, con 22% disinteressato, un 52% poco informato sugli impatti di business ed un 12% che almeno conosce le tematiche in esame.
Le maggiori barriere all’introduzione? Scarsa comprensione delle potenzialità (51%), difficoltà ad identificare e valutare i benefici economici (48%), la necessità di cambiamenti organizzativi (37%).
Bisogni emergenti e percorsi verso l’Enterprise 2.0
Abbiamo chiarito in precedenza che i dipendenti sono stati in motore primario del l’ingresso del web2.0 in azienda. Ma,quali sono i bisogni e qual’è la risposta delle aziende intervistate per soddisfarli? Leggiamo dallo studio:
L’appartenenza aperta (13%): porosità e apertura dei confini aziendali per un efficace coinvolgimento di attori esterni come fornitori, consulenti, partner e clienti
Social networking (21%): supporto alla crescita e coltivazione di relazioni basate sullo scambio di informazioni e la pubblicazione di profili personali evoluti
Condivisione di conoscenza (30%): elicitazione, coltivazione, diffusione e capitalizzazione della conoscenza tacita, implicita ed esplicita
Collaborazione emergente (30%): abilitazione di scenari di collaborazione sincrona ed asincrona in modo flessibile ed a prescindere delle strutture organizzative formali e gerarchiche
Riconfigurabilità adattiva (20%): supporto al cambiamento reattivo ed efficiente dei processi di business in seguito alla mutazione della strategia organizzativa
Global mobility (25%): accesso agli strumenti e le informazioni dell’Enterprise 2.0 anche in modalità mobile
Analizzando il posizionamento degli intervistati su queste 6 dimensioni, si evidenziano tre percorsi di avvicinamento all’Enterprise 2.0:
Social Enterprise (24%): utilizzo di nuovi schemi di collaborazione e condivisione della conoscenza e gestione delle relazioni superando i limiti spazio-temporali e le barriere gerarchiche per massimizzare efficacia e flessibilità strategica/organizzativa.
Open Enterprise (14%): apertura dei Sistemi Informativi verso entità esterne in modo da fornire selettivamente ad ognuno servizi ed informazioni specifiche, creando nuove modalità di interazione con clienti, fornitori e partner che spesso si traducono in innovazioni di processo, prodotto e servizio. Particolare enfasi nel dare una risposta flessibile, veloce e robusta alle esigenze di dispersione sul territorio e mobilità delle risorse.
Adaptive Enterprise (14%): creazione di un ambiente capace di supportare i processi aziendali in modo sempre più flessibile tramite un’orchestrazione ed integrazione agile dei flussi informativi, in modo da garantire un costante allineamento delle mutevoli esigenze dell’azienda e dei singoli individui.
Secondo l’Osservatorio Enterprise 2.0, la risposta tecnologica deve essere duplice: da una parte le soluzioni tipicamente di social computing (wiki, blog, social network, social tagging, feed rss, podcasting, videosharing, instant messaging, etc) e dall’altra l’evoluzione dei sistemi informativi tradizionali con attenzione alle SOA (Service Oriented Architectures) ed il BPM (Business Process Management) che trovano nuova linfa grazie ai Mashups e l’erogazione dei servizi in modalità SaaS. Tra l’altro sono proprio i sistemi informativi che nel 63% dei casi guidano e indirizzano questa svolta verso il cambiamento. Seguiti a ruota dal Marketing and Sales.
Leggiamo nel blog della community
Con il termine Social Enterprise intendiamo l’evoluzione del concetto di community nel momento in cui si creano ambienti virtuali allargati in cui le persone, appartenenti anche a funzioni diverse, hanno la possibilità di organizzarsi autonomamente, scambiarsi conoscenza e collaborare per risolvere problemi e creare innovazione per l’azienda.Si tratta di un approccio che, pur non partendo dalle tecnologie, può trovare un fattore abilitante in esse. Le tecnologie utilizzate comprendono sia gli strumenti presenti da tempo nei Sistemi Informativi – come document management, instant messaging, condivisione agende, ecc. – che strumenti innovativi di social computing mutuati dal web 2.0. I Blog, i Wiki, i Social Network, gli RSS e le Folksonomie possono permettere alle persone di interagire e condividere grandi quantità di informazioni, con tempi e costi sempre più contenuti, superando i limiti geografico-temporali e le barriere organizzative alla comunicazione ed al trasferimento della conoscenza, creando nuovi spazi di efficacia e flessibilità strategica ed organizzativa. A differenza dei servizi tradizionali, questi nuovi strumenti sono flessibili e si adattano facilmente alle esigenze e alle dinamiche lavorative delle persone che possono così definire autonomamente le modalità di interazione, di organizzazione delle conoscenze e degli ambienti di lavoro, abilitando processi collaborativi bottom-up.
Le tecnologie in questo caso possono aprire le porte e offrire nuove opportunità, ma il vero cambiamento dovrà però riguardare la cultura aziendale e delle persone in relazione alle logiche interne che comprendono una serie di regole, norme, routine e lotte di potere. Molte persone si dimostreranno inizialmente avverse a cambiamenti di questo tipo, ma l’azienda potrà trovare nella nuova generazione cresciuta con i social software e con una mentalità aperta alla condivisone e collaborazione in rete, il vero motore dell’evoluzione verso la Social Enterprise.

Tornando ai dati emersi dalla ricerca si può intuire qual’è l’atteggiamento dei CIO, che risulta abbastanza variegato. L’indagine evidenzia i seguenti atteggiamenti:
CIO prudente (54%), che si muove per piccoli passi e con la massima attenzione alle ricadute sull’aziendaCIO urbanista (12%), che cerca di predeterminare un piano regolatore per le infrastrutture e la governance del social computing;CIO animatore (16%) fautore attivo di opportunità di innovazione che coinvolgono direttamente le line.CIO equilibrista (18%) che percorre la via emergente ed infrastrutturale congiuntamente e con la massima velocità e responsabilità possibile.
Enterprise 2.0 e creatività
A mio modesto parere, quando ci si accorge che un cambiamento è in pieno svolgimento è troppo tardi per poterlo guidare. L’attenzione dei CIO e dei dirigenti aziendali giunge tardiva e poco condivisa. Le proposte di piattaforme integrate da parte di grandi gruppi come SAP e IBM sono ancora allo stato embrionale.Sono certo che Enterprise 2.0 sarà anche gioco. Solo nel gioco l’essere umano può sviluppare al meglio le sue attività creative. La possibilità di dare un contributo personale allo sviluppo della cultura aziendale è un altro pilastro che le aziende non dovrebbero sottovalutare.Mi risulta che molte aziende hanno cominciato a creare una propria wikipedia personalizzata per raccogliere e condividere meglio il tesoro di conoscenze distribuito tra i dipendenti , che con i vecchi strumenti non era valorizzato. La creatività si innesta spesso su terreno fertile di conoscenze e di tradizioni condivise, sia in azienda che nel mondo esterno.

Per scaricare la ricerca in formato PDF (richiede una registrazione gratuita)

April 06, 2008

TRIBAL MARKETING


Il marketing tribale (tribal marketing) è una strategia del marketing teorizzata tra il 2000 e il 2004, mirante a creare una comunità collegata ad un prodotto o servizio o brand che si intende promuovere. Analizzando con tecniche antropologiche e strumenti presi a prestito dalla sociologia applicata i segmenti di mercato target per un prodotto, il marketing manager, crea una nucleo formante (inizialmente in seno all’azienda) e fortifica il sentimento comunitario dei consumatori, attraverso strategie atte catalizzare la crescità di una comunità autoalimentante, per poi supportarne lo sviluppo e l'autoriconoscimento. Il marketing tribale fa un uso estensivo degli strumenti del web 2.0 e promuove la creazione di contenuti generati dagli utenti, la creazione di spazi personali all’interno dei portali aziendali etc, la partecipazione dei connsumatori al corporate blog, etc. I fondatori del m.t. sono stati i francesi Michel Maffesoli e Bernard Cova, il secondo ritenuto il teorico del tribalismo, che fin dall'origine l'hanno contrapposto come alternativa mediterranea al marketing classico di stampo anglosassone. Secondo Bernard Cova, autore de “Il marketing tribale”, l’interesse per il vissuto quotidiano del consumatore rappresenta uno dei mutamenti più notevoli verificatisi nel marketing nell’ultimo decennio. L’esponente del marketing mediterraneo mette in evidenza la tendenza del consumo postmoderno a una sorta di “ri-radicamento” al territorio, attraverso la ricerca di radici e legami sociali.
Ma cos’è la tribù (in senso postmoderno riferito al marketing)?
Bernard Cova definisce la tribù come un insieme di individui con caratteristiche socio-demografiche molto diverse, ma collegati da una stessa soggettività, passione, esperienza, e capaci di azioni collettive vissute intensamente benchè effimere, il tutto in un modo fortemente ritualizzato. La tribù è una comunità emozionali in cui si condividono passioni comuni.
Paola Lazzarini definisce le tribù come “micro-gruppi sociali composti da individui eterogenei (per età, sesso, reddito) uniti dalla condivisione di una passione, di una soggettività o di un’emozione. La loro esistenza ha senso solo nella manifestazione simbolica e rituale del commitment dei loro membri, capaci di azioni collettive vissute intensamente (anche se spesso effimere) secondo modalità fortemente ritualizzate. La tribù è quindi una comunità di esperti pronti a vivere e sperimentare le potenzialità e l’eccezionalità del loro “oggetto” di interesse senza pregiudizi né tabù, cercando, al contrario, di manifestare autenticamente il senso, il privilegio e la soddisfazione derivanti dall’abbracciare un preciso lifestyle.
Non sono gruppi creati da interessi commerciali che si ritrovano per speculare o per fare della propria passione un business ma numerose associazioni di estimatori che oltre ad un prodotto hanno aderito ad uno stile di vita
.”

Al concetto di tribù locale è strettamente collegato il bisogno generalizzato, da parte dei consumatori, di autenticità: questa istanza è appagata sempre meno dall’etichetta o dal riconoscimento ufficiale e sempre più dal senso di comunanza tra i membri del gruppo.
La strategia che questo nuovo approccio propone è dunque non tanto quella di stabilire un legame personale con il cliente, quanto piuttosto quella di alimentare e sostenere il legame fra i clienti stessi, aiutandoli a condividere le proprie passioni e a sentirsi parte di un gruppo.
Nel marketing tribale, di conseguenza, l'intimità con il cliente passa attraverso il coinvolgimento dell'azienda nella tribù: sostenendo e partecipando ai suoi rituali l'azienda ne diventa un membro a tutti gli effetti. In questo modo il consumatore smette di essere “cliente” e diventa “fan”, sviluppando una vera e propria fedeltà affettiva nei confronti dell'azienda e/o della marca.
Il marketing tribale è applicabile solo in alcuni casi. Tra i requisiti principali ci deve essere un prodotto con la P maiuscola, con una propria personalità e/o caratteristiche di qualità riconosciute. Ducati è l’esempio più famoso e riuscito di markeing tribale. Considerate che il sito ufficiale con più di 7 milioni di visitatori unici all’anno e oltre 10 milioni di pagine visualizzate al mese, è uno dei siti motociclistici più frequentati al mondo e molto di più. E’ l’officina dove si costruisce il futuro dell’immagine e della strategia di comunicazione aziendale.
Altri casi esemplari sono Nutella e Harley Davidson.
Ma adesso siamo nel 2008!!!! Come stà cambiando il marketing tribale e quali sono i nuovi trend del marketing di frontiera????
Una risposta sembra arrivare da Patrizia Musso, Direttore Brandforum.it
Lei pensa che il camaleontismo sarà una caratteristica del marketing del futuro.
Mi viene quasi di fare uno strano parallelismo tra il mash-up delle applicazioni software e questo comportamento trasformista dei prodotti e dei marchi.
Tutto questo senza l'aiuto di sostanze psicotrope

April 02, 2008

Internet ed il diritto all'oblio


Le infomazioni pubblicate sui quotidiani, settimanali o viste in televisione hanno un tempo medio di permanenza di alcune settimane, poi vengono dimenticate a meno che non vengano riprese (o rivitalizzate) da contenuti freschi che continuano il thread.
Questo riguarda sia le informazioni personali che i fatti di cronaca e queste dinamiche sono ben conosciute dai professionisti della comunicazione che sanno accendere o spegnere un flame (una fiammata) attraverso strumenti quali comunicati stampa, bollettini, articoli, interviste, servizi.
Su internet le cose funzionano in maniera completamente diversa a causa di un fattore determinante: il motore di ricerca.
Le infomazioni contenute nelle oltre 30 miliardi di pagine pubblicate in rete vengono continuamente analizzate, classificate e indicizzate da software che ci presentano i risultati secondo una classifica di rilevanza ottenuta da algorimti complessi.
In questo caso il motore di ricerca, di cui Google è il capofila non assegna automaticamente un elevata importanza alla data di pubblicazione o alla data in cui un evento si è verificato.
Per fare un esempio concreto cercando il programma della settimana nazionale della cultura si ottiene prima il calendario del 2007 e molto dopo quello del 2008 perché le pagine in questione erano state curate meglio lo scorso anno. Google non capisce che a noi interessa di più il programma attuale!!
Allo stesso modo un professionista o un’azienda finito in uno scandalo poi rivelatosi infondato può vedere decine se non centinaia di pagine che fanno riferimento al fatto di cronaca e magari pochi o lontani riferimenti alla sua onorata carriera ventennale.
E’ inutile cercare un etica o dare un giudizio al comportamento del motore di ricerca, però è possibile sancire e tutelare il diritto di ogni persona all’oblio circa i propri dati personali o in riferimento a fatti di cronaca, attraverso la non indicizzazione eterna nei motori di ricerca.
Lo scorso anno il garante della privacy aveva sancito questo diritto obbligando Google a cancellare alcuni documenti e link lesivi dell’immagine di una donna ingiustamente accusata e poi prosciolta, ma che vedeva il suo nome ancora associato al fatto in questione.
Il web 2.0 ha reso le cose molto più complesse perché sono aumentati in misura stratosferica i contenuti generati dagli utenti; non solo testo ma foto, files audio e video con relativi tags e meta tags.
La tracciabilità delle informazioni ed il cosidetto trackback o backlink è reso in questo modo più complesso perché passa da un mezzo multimediale all’altra attraverso l’ineffabile filo del tag.
Citiamo dal blog Punto informatico:
Francesco Pizzetti, intervenuto all'Università di Torino in occasione della Giornata europea della protezione dei dati personali, sembra convinto che tra
10 o 15 anni le immagini e i dati pubblicati oggi dalle giovani generazioni possano ritorcersi contro di loro: una preoccupazione comprensibile se si pensa che il Garante ha più volte denunciato quella che ritiene l'
inesistenza del diritto all'oblìo per quanto riguarda i dati rilasciati in rete. Sebbene profili e persino intere comunità di social networking possono essere cancellati o sparire dalla rete, non così tutte le tracce delle attività online, le archiviazioni di terze parti e via dicendo
Anche semplicemente cancellare un proprio account su Facebook o Myspace potrebbe rivelarsi complicato, ma è niente in rapporto a contenuti che ci riguardano ma inseriti da altri utenti.
Anche quando un network sparisce, come nel caso di Neurona (assorbito da Xing) Google continua a indicizzare per mesi o anni i link ai profili e alle discussioni, anche se in contenuti non sono più accessibili.
Da quanto detto emerge un dato chiaro, ovvero che Internet ha una memoria lunga e che quindi diventa opportuno gestire al meglio i dati sensibili che riguardano la nostra individualità, la nostra carriera e la nostra azienda.