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February 17, 2008

I CORPORATE BLOGS SONO UTILI STRUMENTI DI "BELOW THE WEB MARKETING” O MINACCIANO L'INTEGRITA' DEL PROCESSO DI COMUNICAZIONE AZIENDALE?


Nel 2007 si è verificato il boom della creazione di nuovi blogs.
La blogosfera, che conta 250 milioni di autori, è ancora giovane ed in profonda trasformazione.
Il blog, nato come diario personale on line, è diventato anche strumento di lotta politica, orientatore di acquisti, creatore di nuove tendenze.
Le aziende attente al rapporto con il cliente non potevano ignorare questo fenomeno ed hanno cominciato ad utilizzarlo come accessorio nel portafoglio degli strumenti di comunicazione.
I primi corporate blogs sono stati realizzati negli States, anticipati di poco dai CEO-blogs.
I manager di medie e grandi società americane, che spendono fino a 5 ore al giorno in attività relazionali, hanno compreso che il blog avrebbe di molto aumentato la loro visibilità e accresciuto la possibilità di interscambio professionale e personale.
Ma quali sono i possibili vantaggi che un’azienda può trarre da un blog se dispone già di un proprio sito ben strutturato ed interattivo?
Per trovare la risposta dobbiamo considerare le caratteristiche differenziano un corporate blog da un classico sito aziendale





Wikipedia, nella sua definizione di corporate blog distingue subito i blog aziendali interni da quelli esterni. Questa distinzione, assolutamente poco compresa da questa parte dell’oceano, fa riferimento alla possibilità di realizzare un post-wall, in intranet; una bacheca virtuale riservata esclusivamente ai dipendenti per la condivisione di messaggi, immagini ed esperienze non necessariamente legati al business. Questa bacheca, presente da tempo in varia forma in tutte le grandi aziende, si è recentemente evoluta in blog interni sotto la spinta di due funzioni aziendali: IT e HR.
L’IT usa i blog interni per aiutare gli utenti dell’intranet a comprendere ed implementare nuovi processi e procedure, mentre la direzione del personale li usa soprattutto per la creazione e il mantenimento della cultura aziendale e per il job posting interno.
Completamente diverso il caso del corporate blog esterno, che è aperto al contributo del pubblico.
L’interattività del blog e l'utilizzo di un linguaggio informale sono nello stesso tempo i punti di forza e di debolezza dello strumento.
Un blog aziendale coinvolge generalmente le seguenti figure:



Ci accorgiamo subito che il processo di comunicazione deve essere ben gestito e, preferibilmente, mediato per evitare:
. la divulgazione di notizie riservate da parte dei dipendenti;
. la divulgazione di informazioni inesatte su prodotti e servizi aziendali;
. l’affermarsi di punti di vista non in linea con le strategie aziendali
.


Infatti, chi legge il blog non è spesso in grado di distinguere tra opinioni personali e comunicati ufficiali, quando chi scrive è un funzionario aziendale.
Questo non è un problema da poco, visto che i blog sono in media molto più tempestivi nel fornire le informazioni su casi di attualità, rispetto ai siti ufficiali.
Così le aziende fornitrici di servizi complessi o produttrici di beni in settori molto regolamentati (come quello farmaceutico) preferiscono, all’opzione di un corporate blog, sponsorizzare blog esterni gestiti da associazioni di consumatori, di pazienti o società scientifiche.
In questo modo possono, se pur in maniera indiretta, usufruire dei benefici di un corporate blog con addirittura maggiore credibilità. La fiducia crescente dei consumatori nei confronti dei blog, stà infatti nella convinzione che il blog sia più imparziale e obbiettivo rispetto ai siti aziendali e istituzionali.
Questo è, a mio parere, l maggiore limite dei corporate blogs che restano tuttavia un’interessante strumento di “below the web” marketing.
L’unica condizione per sfruttare le potenzialità dei blog aziendali è limitare al massimo i rischi di interferenze con il processo primario di comunicazione aziendale e dedicare al blog le necessarie risorse. Pertanto, a mio parere, possono avvantaggiarsi dello strumento solo quelle aziende in cui la funzione di PR è presente ed operativa. Maria Teresa Trifiletti sottolinea, in un articolo pubblicato su Internet Magazine, che "i requisiti minimi per realizzare un blog di successo sono: competenza, tempo e conoscenze".
Con queste premesse il corporate blog può:
- migliorare la relazione di un'azienda con i propri consumatori;
- risolvere tempestivamente emergenze nel processo di comunicazione tra azienda-clienti;
- migliorare l'indicizzazione e la visibilità del sito aziendale.

Solo il tempo ci dirà se i corporate blog sono una tendenza o un reale progresso nel settore della comunicazione aziendale.

Pubblicato su "Web Marketing Tools" 18 febbraio 2008

February 13, 2008

QUANDO L'IMITAZIONE SUPERA L'ORIGINALE




La Coca-Cola Company ha lanciato sul mercato delle bevande analcoliche il prodotto Coca Cola Zero che a prima vista sembra una copia della Coca Cola Light.
I due brand si accomunano per il bassissimo contenuto calorico dovuta all’assenza di zucchero e caramello. Ma ad un’analisi più attenta i prodotti rivelano somiglianze ancora maggiori.
Hanno stesso posizionamento, target, packaging, e soprattutto si discostano poco dal gusto del brand group leader: la Coca Cola storica.
Il caso andrebbe quindi subito archiviato come un classico esempio di rivitalizzazione di un brand group se non fosse per l’inaspettato successo di Coca Cola Zero.
Successo inatteso persino dagli stessi ideatori del marchio, che hanno visto la loro creatura crearsi un proprio spazio nei 40 maggiori mercati mondiali in poco più di un anno.
La grande sorpresa è dovuta al fatto che la Coca Cola Light ha invece faticato molto per conquistare la posizione che occupa e, soprattutto, il consumatore non ha una esatta percezione della differenza tra i due prodotti.
Dalle indagini di mercato emerge che Coca Cola Light e Zero vengono percepite come prodotti diversi ma il consumatore non è in grado di descriverne le differenze.
Gli edulcoranti usati sia nella Light che nella Zero sono gli stessi (almeno in Italia) e fanno si che il gusto delle due bevande sia estremamente simile, tanto che pochi saprebbero distinguerle ad occhi chiusi.
L’azienda produttrice nega che l’operazione sia esclusivamente una trovata di marketing e afferma di essere riuscita, con Coca Cola Zero ad avvicinarsi come non mai al gusto della Coca Cola storica offrendo nel contempo un prodotto dietetico.
La Coca Cola Company ha più volte tentato di proporre al mercato varianti di gusto (vaniglia, limone ciliegia) ma con stesso brand-group name, ma con scarsi risultati.
Il successo della Coca Cola Zero, dal punto di vista di strategia commerciale è dovuta a mio parere ad una accresciuta attenzione da parte di una significativa fetta di consumatori nei riguardi del potere calorico delle bevande analcoliche.
Resta purtroppo in molti la convinzione che prodotto a basse calorie equivale “più sano” e non è sempre così.
Al momento non vi è interesse, né da parte delle aziende produttrici di alimenti, né da parte della comunità scientifica di appurare in maniera certa l’eventuale rischio per la salute dovuto all’uso continuativo di sostanze edulcoranti.
Dal punto di vista del Web-Marketing la Coca-Cola Company ha proposto una campagna
Viral , dal nome Sue-a-Friend, che gioca sul tema della contraffazione e delle relative azioni legali, proponendo ai navigatori un modello da personalizzare per citare in giudizio (simpaticamente) i propri amici e conoscenti.
E’ proprio vero…. Certe volte l’imitazione supera l’originale!
Articolo accettatto da: "Web Marketing Tools -News"

February 12, 2008

IL PARADOSSO DELLA PERSONALIZZAZIONE




Un’azienda può optare, come strategia di marketing, per un diverso grado di personalizzazione dei propri prodotti e/o delle iniziative promozionali.
Il grado di personalizzazione del prodotto può essere da nullo (massificazione) fino a gradi estremi (si parla allora di marketing inverso).
Allo stesso modo le campagne promozionali possono essere più o meno “cucite” sul cliente.
Per poter operare una personalizzazione della campagna, si deve poter disporre di un profilo del cliente, realizzato sulla base di dati da lui forniti attraverso form o acquisiti nel corso di una transazione commerciale.
Ma come reagisce il cliente di fronte ad una proposta commerciale personalizzata?
E’ sempre vantaggioso per un’azienda investire risorse e tempo per personalizzare le proprie campagne, in particolare nel web?
Per rispondere a queste domande dobbiamo per prima cosa comprendere il cosiddetto “paradosso della personalizzazione”.
L’animo umano ospita al suo interno tendenze opposte che coesistono e che generano comportamenti contradditori.
Le tendenze di cui parliamo a proposito del paradosso della personalizzazione sono le seguenti:
- ricerca, affermazione e raffinamento di una identità personale e sociale;
- ricerca di anonimato e tutela della privacy.
Ogni persona impiega grande cura e attenzione per costruirsi un propria identità personale e sociale e ciò avviene:
a un livello personale scegliendo gli abiti che indossa, gli accessori, gli strumenti tecnologici;
a un livello sociale scegliendo i locali che frequenta, i network, viaggi, gruppi;
Il marketing può venire incontro a questo bisogno fornendo strumenti adeguati e soluzioni “personalizzate”, ma il soggetto deve sempre sentirsi interprete principale del processo d’acquisto.
Si possono ottenere risultati negativi da una campagna promozionale per:
una eccessiva invasività nella raccolta di informazioni;
una mancanza di “tatto” nel proporre le soluzioni.
Nessuno ama essere messo sotto una lente e manipolato. Ed è proprio questo che sente il cliente quando la proposta commerciale non è realizzata in maniera propria.
La mancanza di professionalità e di esperienza possono avere come risultato la realizzazione di campagne con elevata percentuale di clienti “non compliant”, ovvero che arrivano persino ad intraprendere forme di protesta organizzate nei riguardi dell’azienda promotrice.
Una buona campagna personalizzata dovrà suggerire le soluzioni al proprio cliente:
- offrendo sempre almeno 2 alternative (libertà di scelta);
- offrendo la possibilità di essere cancellato dai database (opzione di oblio);
- senza sottolineare la fonte dei dati ottenuti per il profilo (rispetto dell’anonimato)
Esempi concreti:
Non è opportuno ricordare al cliente acquisti fatti in precedenza ma suggerire (come se fosse dovuto al caso) prodotti correlati a quelli acquistati in precedenza.
Non è opportuno sottolineare (anche se il cliente lo sa perfettamente) che l’azienda dispone di un suo profilo, più o meno dettagliato, soprattutto in relazione a dati “sensibili” come preferenze e abitudini collegate al credo religioso o politico, appartenenza a gruppi associazioni.
Nel caso sia necessario evidenziare la conoscenza dei dati personali (come un buono sconto in occasione del compleanno) queste iniziative andrebbero realizzate solo sui clienti storici e mai su clienti potenziali.
Le aziende hanno imparato presto che la fidelizzazione del cliente gioca un ruolo chiave nelle strategie di marketing e la gestione dei dati personali diventa una affare delicato che va affidato a mani esperte per evitare incresciose e indesiderate “cadute di stile”.
Potrebbe bastare una mail indirizzata a “Sig. Gigi Rossi” al posto di “Gent.mo Prof. Luigi Rossi” per mettere in discussione rapporto commerciale in fase di consolidamento.
Quando si offrono servizi complessi piuttosto che beni di consumo il rapporto con il cliente si può approfondire nel tempo, tanto da consentire alle aziende di tracciare un profilo molto accurato del cliente.
La persona deputata al front-office, che può assumere il ruolo di consulente, dovrà adottare molta cautela nell’ offrire al cliente quello di cui necessità senza evidenziare il lavoro di intelligence che precede il contatto.
Il cliente preferisce pensare ad una “coincidenza” piuttosto che ad un uso deliberato, da parte dell’azienda fornitrice, dei propri dati personali.
Preferisce pensare che il mondo si adatti miracolosamente alle sue esigenze piuttosto che ammettere di essere stato guidato a determinate scelte.
Le aziende dovrebbero tenere presente che il cliente deve mantenere la centralità in ogni fase del processo d’acquisto.
E’ questa la soluzione per risolvere il paradosso della personalizzazione: suggerire al cliente le proposte che più si adattano al suo profilo, senza sottolineare in alcun modo che ciò sia avvenuto in seguito ad un complesso processo di analisi delle sue abitudini e preferenze.
Nel caso del web marketing si accetterà più volentieri una proposta commerciale interessante, ma che sembra arrivata per caso sul nostro desktop, piuttosto che un’altra altrettanto valida, ma con un riferimento preciso ad un nostro comportamento passato, anche se acquisito in maniera perfettamente lecita e consensuale.
Nel caso del web-marketing, in particolare se one-to-one, la diffidenza del consumatore-navigatore è più alta rispetto a quella che si riscontra nel mondo reale a causa dello spamming e dell’aggressività di alcuni software che hanno potuto agire indisturbati in tempo in cui la giurisprudenza non aveva ancora chiarito le regole e limiti del consentito.
In futuro riceveremo sempre meno posta indesiderata, ma dovremo abituarci a convivere con un sistema molto ben informato sui nostri gusti e preferenze.

Articolo pubblicato su "Web Marketing Tools - News"